Sembra
che il problema di molti sia quello “non voler morire comunista o democristiano”,
oppure “berlusconiano”.
Vorrei
che si capisse una volta per tutte che il problema non è questo.
Io
dico semplicemente che non voglio morire,
voglio vivere e per vivere e non
morire dobbiamo darci una prospettiva, una speranza, dobbiamo ritrovare un
sogno, non possiamo continuare a lamentarci e se vogliamo farlo dobbiamo essere
semplici, lineari, chiari, responsabili, etici nel nostro fare quotidiano,
nelle azioni che facciamo.
Il
momento drammatico che stiamo vivendo impone di dover fare grandi cambiamenti,
scelte difficili e dolorose e la politica non può che essere il fulcro di tutto
questo, la politica deve però essere di esempio, non può fare finta di niente,
come se quello che accade fuori non debba andare a toccare certi meccanismi,
certe dinamiche che portano sempre e comunque ad un iniquo mantenimento di
sacche di privilegio. Se la politica non
dà l’esempio si delegittima da sola.
Enrico
Berlinguer nella famosa intervista a Scalfari diceva che “ Quando si chiedono sacrifici alla gente che lavora ci vuole un grande
consenso, una grande credibilità politica e la capacità di colpire esosi e
intollerabili privilegi. Se questi elementi non ci sono, l’operazione non può
riuscire”.
Aveva
ragione, aveva tremendamente ragione.
Troppo
spesso il mondo della politica appare come un mondo a parte, un mondo in cui si
fanno ragionamenti incomprensibili ai non addetti ai lavori, un mondo
autoreferenziale che pensa solo ad auto riprodursi ed auto tutelarsi.
Il
Partito Democratico deve rappresentare il punto di rottura con tutto questo, deve
essere quel contenitore, catalizzatore di idee, quel produttore di riformismo
capace di cambiare tutto questo.
Troppo
spesso però prevalgono logiche dettate dai giochi di forza di questo o quel
capocorrente e le energie si sprecano per mediare, limare una parola, produrre
documenti, linee di indirizzo fatte di equilibrismo ed opacità, frutto di un
metodo che troppo spesso impedisce la discussione negli organi preposti (penso alle varie
assemblee quasi mai convocate) ma sposta le decisioni su tavoli diversi,
dove prevalgono dinamiche che perseguono
l’interesse di un gruppo, di una corrente, di soggetti che portano solo
autoreferenzialità.
Dobbiamo
avere, dobbiamo darci una speranza, non possiamo continuare a giocare di
rimessa, dobbiamo definire gli obiettivi, nel partito, nelle amministrazioni
che governiamo, dobbiamo ritrovare un po’ d’entusiasmo, un po’ di fiducia in
noi stessi e provare a muovere finalmente per primi, provare a mettersi in
gioco.
Mai
come adesso credo che chi ha capacità, che chi può portare qualcosa al bene
comune, quella che è la parte migliore del nostro paese debba farsi carico
dell’interesse generale e partecipare, partecipare alla vita pubblica.
E
il posto dove fare questo non può che essere il Partito Democratico, quel
Partito Democratico veramente riformista in cui tutti noi al momento della sua nascita abbiamo creduto.
E’
il momento della responsabilità e chi ha capacità deve responsabilmente
metterle a disposizione della cosa comune e il luogo in cui questo deve
avvenire non può che essere il Partito Democratico, quel Partito Democratico
che non può essere fatto di farisei che lanciano anatemi contro chiunque provi
a dire, a fare qualcosa, ma che invece è attento, è capace di ascoltare, di
dare voce a quella maggioranza
silenziosa che giorno dopo giorno manda avanti il paese, a quella maggioranza
silenziosa che ha sempre pensato di poter essere utile a se stessa, alle
proprie famiglie, alla società svolgendo il proprio lavoro con serietà,
correttezza, eticità, creandosi magari una famiglia, mettendo al mondo dei
figli, quella maggioranza silenziosa che non cerca qualcuno che dica di
rappresentarla, ma che ha bisogno di qualcuno che scelga di ascoltarla, che non
cerca qualcuno che le chieda di obbedire,
quella maggioranza silenziosa che vuole decidere con la propria testa,
non in nome di un’ideologia, ma in base alle cose che ci si propone di fare e
che si riesce a fare, magari non strabilianti, ma eque, magari non eclatanti,
ma giuste.
Dobbiamo
continuare sempre a muoverci in difesa dei deboli, degli emarginati, di quelli
che non hanno voce, di quelli che sono vittima dell’ingiustizia, ma una domanda
che continuo a farmi ogni volta che ci penso è chi sono oggi i deboli, gli
emarginati, quelli che non hanno voce, quelli che sono vittime
dell’ingiustizia, chi sono? E poi mi chiedo se davvero sono quelli che noi
pensiamo o che storicamente abbiamo pensato che fossero? Quelli che
storicamente noi abbiamo pensato di garantire, di aiutare, mettendo in essere un sistema rigido di
tutele, un sistema però non sufficientemente dinamico, che ha creato anche da
una parte sacche di privilegio e dall’altra precarietà, sia nel mondo del
lavoro così come nella società tutta. Un sistema che ha contribuito a creare
precarietà e non flessibilità, staticità e non dinamismo, ingiustizia e non
equità. Un sistema che ha ingessato la nostra società favorendo troppo spesso
non il merito, ma la rendita.
Dalla
Leopolda arrivano segnali importanti in tal senso, un confronto serio con la
realtà.
I
100 punti sono proposte scaturite dal confronto delle idee, dal vissuto di
esperienze concrete, di vita, di lavoro, dal quotidiano di chi i problemi li
affronta sul campo.
In
gran parte condivido i temi fondamentali individuati e le proposte elaborate
per cambiare davvero le cose, il tutto esplicitato in un modo chiaro, diretto e
comprensibile.
Penso
alle proposte di riforma del mondo del lavoro
(chi mi conosce sa che non ho mai fatto segreto di condividere le
proposte di legge relative alla flexsecurity), alle proposte di modifica del
sistema previdenziale e del sistema di tassazione (tra cui l’abolizione
dell’imposta più iniqua, l’Irap, che colpisce il lavoro, così come lo
spostamento della tassazione dal reddito personale e delle imprese alla
rendita), penso alle indispensabili riforme dello stato (diminuzione dei parlamentari, ritorno ai
collegi uninominali, abolizione vitalizi, e così via); penso alle proposte
sulla giustizia che è un’altra fonte incredibile di iniquità sociale; le
proposte per la cultura, la scuola, l’università e così via.
Proposte
chiare, semplici, dirette, concrete.
Dalla
Leopolda arrivano segnali che portano,
che ridanno una speranza e non possiamo non coglierli. Magari per qualcuno sono
“fastidiosi”, ma dobbiamo comprendere che il Partito Democratico è capace di
fare tutto questo, che il Partito Democratico ha queste potenzialità, perché la
Leopolda non è un patrimonio di qualcun altro, ma nostro, del Partito
Democratico, non dobbiamo averne paura, dobbiamo capire che Matteo Renzi non
gioca contro il PD, ma gioca nel PD., per il PD. Non possiamo lasciare ad altri
questo patrimonio.
Matteo
è una voce che interpreta alcuni, molti cambiamenti necessari.
Adesso
come non mai dobbiamo riuscire a trasmettere una speranza e questo non può
essere fatto da chi per anni non è riuscito a farlo, c’è un momento in cui non
basta avere idee che si pensa siano giuste ed eque, non basta, ci vuole chi
riesca a trasmettere la speranza che quelle idee siano realizzabili e non possono essere coloro che
per decenni non sono riusciti a farlo.
C’è
bisogno di una rottura, di un cambio di passo.
Massimo
Lari
Capogruppo PD Lastra a Signa
Caro Massimo e caro PD condivido ogni parola, ma...c'è sempre un ma, pronto a rovinare tutto. Il vero problema del PD e di tutta la sinistra è quello di non essere mai riusciti ad includere quelli che cantando, fuori dal coro, esprimevano dubbi e perplessità, quelli che da sempre, forse con un pò troppa ideologia, hanno difeso i "diritti" dei più deboli...."diritti" non " privilegi". Se questo PD deciderà di dare un segnale di rottura, forte e inequivocabile, rispetto al passato, molti di noi " disillusi dalla politica",torneranno a crederci, ad impegnarsi, a partecipare.....ma il PD non dovrà e non potrà più essere il contenitore di "ex qualcosa", il rinnovamento non si pratica con i figli,i nipoti, con le mogli o con i mariti e gli amici, soprattutto se questi non hanno le caratteristiche politiche atte a svolgere un ruolo, comunque, di potere. Fare politica è una cosa seria,darsi alla politica è un atto di assunzione di responsabilità e non si può,ma soprattutto non si deve , come in un lascito testamentario, passare la poltrona. Si cominci dalla nostra piccola realtà paesana a dare un segnale, sono convinta che tanti, seguiranno l' esempio, ma, se anche così non fosse, questa classe dirigente, avrebbe il merito di averci provato.
RispondiEliminaForse il "partito degli astensionisti", che oggi si attesta al 47%, avrà meno tesserati.
Saluti