Riportiamo il documento presente sul sito del PD Nazionale. Un documento non semplicissimo alla lettura ma che fa capire che il 2012 si presenta per i comuni ( e quindi per i cittadini) come un anno molto duro. L'idea poi che i Comuni possano incrementare le proprie entrate con l'imu è del tutto falsa e forviante poiché i comuni non avranno benefici da questa nuova tassa che serve a ridurre il debito dello stato e non ad incrementare la capacità di investimento dei comuni.
I Comuni spendono circa 70 miliardi di euro l’anno. Per le entrate possono contare su circa 68 miliardi di euro (dato 2009), dei quali il 54% di risorse proprie. Questa quota aumenterà nel 2012 con l’introduzione dell’IMU sulla prima casa (+ 3,2 miliardi) e con la riduzione del fondo sperimentale di riequilibrio (- 3,45 miliardi). Lo stock di debito dei Comuni ammonta dunque a 48 miliardi di euro.
Nonostante la riduzione del debito previsto nella manovra e le regole del Patto di stabilità interno, che stanno provocando una forte contrazione degli investimenti e una tenuta della spesa corrente, si prevede comunque che tutti i Comuni nel 2011 avranno un saldo finanziario positivo.Nelle casse degli Enti locali, secondo una stima fatta al 31 dicembre 2011, ci sono 11 miliardi di euro: soldi che potrebbero essere più utilmente impiegati per pagare le imprese creditrici, visto che nella gran parte si tratta, infatti, di debiti commerciali proprio verso queste ultime.
Inoltre, non bisogna sottovalutare che la grave contrazione delle risorse per il welfare pregiudica la possibilità per i Comuni di continuare a svolgere politiche di coesione sociale e limita la capacità degli stessi di far fronte al crescente bisogno di sostegno. Basta leggere i dati: l’azzeramento del fondo per la non autosufficienza e la riduzione del Fondo Nazionale delle Politiche Sociali passa da 670,8 milioni di euro del 2008 a 178,5 nel 2011, il Fondo per la famiglia da 197 milioni a 100 e il Fondo Sostegno Affitti da 205,6 a 32,9 milioni di euro.
Cosa chiedono i Comuni
I Comuni chiedono una revisione del Patto di stabilità, che così com’è non garantisce una efficace azione di contenimento della spesa corrente e blocca di fatto non solo i pagamenti ma gli stessi investimenti. Dal 2004 ad oggi la riduzione di questi si aggira sul 18%.
Nel 2012, se le cose non cambieranno, ci sarà un’ulteriore stretta poiché è lievitata la spesa per interventi dovuti ad esempio all’emergenza neve, alla messa in sicurezza di edifici pubblici, ecc.
La richiesta degli Enti locali è dunque quella di scrivere un nuovo Patto per lo sviluppo e di crescita in questi anni dimenticati. La stessa sfida della competizione territoriale con gli altri paesi europei, basata sulla modernizzazione ed innovazione delle comunità locali, non può essere compiuta dagli Enti locali con le regole attuali. Interventi importanti come quelli delle Smart Cities, che riguardano realtà importanti come Milano e Torino, non possono essere affrontati se non si introducono regole diverse. La proposta minima è allora quella di escludere dal computo del Patto di stabilità le spese sostenute per il maltempo eccezionale di quest’inverno, per la edilizia scolastica, per il riassetto idrogeologico. Sul lato delle entrate i Comuni chiedono di rendere l’IMU maggiormente flessibile e di lasciare nelle casse dell’amministrazione il 70% del gettito (a fronte del 50% previsto a legislazione vigente). Per compensare questa minore entrata per le casse statali, si potrebbe operare una riduzione equivalente del fondo sperimentale di riequilibrio, ovvero del trasferimento ai Comuni di altri tributi immobiliari.
In termini assoluti, tale contributo porterebbe ad un aumento della quota IMU di competenza dei Comuni da 12,2 a 15,8 miliardi di euro su scala nazionale. In corrispondenza di tale aumento del gettito tributario diretto diminuirebbe di pari importo il fondo di riequilibrio, dai 6,8 miliardi previsti per il 2012 a 3,6 miliardi di euro.
In corrispondenza di questo riassetto, dovrebbero inoltre essere assicurati ulteriori aggiustamenti finalizzati a regolare la ripartizione delle risorse con particolare riguardo ai Comuni sottodotati di base imponibile utilizzando le eccedenze di gettito. Con questa operazione circa 800 Comuni non avrebbero più diritto alla distribuzione del fondo sperimentale di riequilibrio e molti altri avrebbero delle quote molto ridotte.
Gli Enti locali con un saldo finanziario in pareggio che non accedono al fondo perequativo vanno considerati esclusi dall’applicazione della manovra di miglioramento dei saldi e devono avere come obiettivo di saldo il pareggio in termini di competenza mista.
Come gestire la spesa
Sul lato della spesa, consapevoli della necessità di una azione incentrata sul rigore e la crescita, si propongono tre direttrici: - Introdurre la regola finanziaria del pareggio di bilancio per i Comuni che finanziano la spesa solo con entrate proprie.
- Eliminare tutti i vincoli gestionali ed organizzativi che limitano l’autonomia dell’amministrazione e che non hanno alcun effetto sui saldi di finanza pubblica.
- Prevedere forme di esternalizzazione della spesa che non alterano lo stock di debito, il saldo netto da finanziare ed il rapporto fra deficit e PIL.
Considerato che i Comuni si impegnano a rispettare comunque gli obiettivi del Patto di stabilità assegnati, si ritiene necessario eliminare le norme che bloccano la copertura del turn over, quelle che limitano la capacità di rinnovo dei contratti a tempo determinato e quelle che impongono il raggiungimento di micro obiettivi qualitativi e tutte le norme che confliggono con l’autonomia organizzativa del Comune.
Andrebbero ridefiniti anche i compiti e le funzioni di controllo e di indirizzo dellaCorte dei Conti. Troppi sono i terreni su cui la Corte può esercitare una propria discrezionalità, a partire dalla individuazione senza criteri dei meccanismi elusivi del Patto, che portano la stessa a scrivere piuttosto che a interpretare ed applicare le leggi.
Per i piccoli Comuni, con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, l’introduzione del Patto di stabilità con queste regole significa rendere praticamente impossibile la vita amministrativa quotidiana anche in considerazione della maggiore rigidità che caratterizza il loro bilancio.
L’obiettivo dovrebbe essere lo stralcio di questa norma o, quantomeno, l’applicazione del Patto con regole semplificate .
Sulla gestione associata, prevista già per i Comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, è importante eliminare ogni differenziazione tra i Comuni al di sopra e al di sotto dei 1.000 abitanti e lasciare l’autonomia di scelta tra l’Unione ai sensi del TUEL, o comunità montana in Lombardia, e prevedere una premialità, come la fiscalità di vantaggio.
Resta poi il tema del Patto di stabilità territoriale. Qui esistono diverse contrarietà a livello nazionale anche all’interno dell’ANCI. Se infatti alcuni vedono in modo negativo il fatto che le Regioni assumano un ruolo di regia nella gestione della finanza pubblica, altri pensano sia necessario insistervi soprattutto in un logica federalista che non può essere accantonata come parentesi da abbandonare in fretta.
Rispetto alla terza direttrice si propongono le seguenti azioni immediatamente praticabili:
1. Sblocco dei pagamenti dei debiti commerciali.
- Sostenere l’acquisto (attraverso un fondo ad hoc della Cassa Depositi e Prestiti) da parte della banche dei debiti commerciali dei Comuni. La banca compra il debito dell’amministrazione e paga l’impresa. L’ente pubblico certifica il debito e paga la banca con una scadenza allungata. In entrambe i casi siamo in presenza di un debito già contabilizzato nel bilancio del Comune.
- Riproporre la norma già in vigore per l’anno 2005 e autorizzare la Cassa Depositi e Prestiti ad anticipare i pagamenti alle imprese. Il Comune può stipulare un nuovo mutuo, oppure conferire alla Cassa la liquidità necessaria a far fronte al pagamento, oppure conferire un immobile o un valore mobiliare.
- Proporre lo sblocco di una percentuale dei residui passivi dei Comuni al di fuori del Patto
2. Incentivare nuovi investimenti.
- Prevedere che i Comuni possano conferire beni immobili o partecipazioni azionarie di aziende solide alla Cassa Depositi e Prestiti o ad altro soggetto giuridico che abbia le stesse caratteristiche in cambio di contanti, oppure in cambio di quote di un fondo che gli enti locali possono dismettere, oppure in cambio di opere pubbliche realizzate da imprese private individuate dall’amministrazione e pagate dalla CDP o da altro soggetto giuridico equivalente
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