Vi consigliamo di leggere l'articolo seguente a firma di Curzio Maltese sulla situazione politica nazionale.
"I capi dei babbuini, con i quali condividiamo il 98 per cento di
patrimonio genetico, rimangono tali anche quando non sono più di alcun
aiuto agli altri babbuini. Robert Sapolsky, genio californiano della
biologia, descrive così il comportamento di un capobranco: «Solomon era
ormai anziano e riposava sugli alberi, continuando a sfruttare la sua
straordinaria capacità d´intimidazione psicologica.
Da circa un anno non affrontava più un combattimento. Si limitava a
guardare sdegnosamente il potenziale avversario, faceva qualche giro
minaccioso lì intorno. O al massimo s´arrampicava su un albero e la cosa
finiva lì. Erano tutti terrorizzati da lui». L´arte recitativa dei capi
babbuini più esperti arriva a ingannare il branco in altri raffinati
modi, per esempio nella ricerca del cibo. Se lo trova, non lo segnala
agli altri, ma finge di continuare la ricerca, per poi tornare al
boccone e divorarlo da solo.
Nella sua bellissima Anti storia d´Italia il grande intellettuale
triestino Fabio Cusin, di formazione azionista, individua il modello
della politica italiana nella signoria quattrocentesca, con un padrone
assoluto circondato da una corte servile.
Ora, se incrociamo gli studi sui primati e l´intuizione di Cusin,
abbiamo una fotografia esatta della politica e anche dell´antipolitica
italiana. Dal punto di vista della struttura padronale di partiti e
movimenti, politica e antipolitica sono infatti la stessa cosa. Semmai
nell´antipolitica, la struttura proprietaria e assolutista è ancora più
accentuata.
Si discute da decenni sulla crisi dei partiti, qualcuno vuole
distruggerli e per farlo di solito è «costretto» ad aggiungerne un altro
alla lista. Ma la verità è che i partiti in Italia non esistono più.
Tranne uno, il Pd, che ricorda gli altri partiti occidentali. Almeno non
ha un leader a vita, che sarebbe una cosa normale in democrazia, ma
viene considerato un segno di debolezza. Per il resto la politica è
fatta da una dozzina di oligarchi che dispongono delle risorse
economiche di movimenti ormai designati col loro cognome e decidono
tutto, dalle liste dei parlamentari in giù, senza dover consultare alcun
organismo collegiale. Berlusconi ha nominato cavaliere lo scudiero
Alfano come si faceva appunto nelle corti del Quattrocento, ma continua a
essere il vero padrone del Pdl ed è capace di far saltare i vertici di
maggioranza se soltanto si sfiorano i privilegi del suo regno
televisivo. La Lega non è riuscita a fare a meno di un Bossi menomato
dalla malattia e ora, dopo gli scandali che hanno toccato la famiglia
stessa del capo, è costretta a fingere che Bossi non sapesse nulla di
quanto gli accadeva intorno e a un palmo di naso. Il centro è pure
composto da tre signorie personali, quelle di Casini, Fini e Rutelli. A
sinistra Sel non esiste senza Nichi Vendola, dominus assoluto dei neo
libertari. Quanto ai libertari storici, i radicali, sono sempre stati
una lista con nome e cognome, prima Marco Pannella e poi Emma Bonino,
circondati da un cerchio magico dove l´obbedienza contava assai più del
merito. Salvo che più di un fedelissimo è andato poi a servire padroni
più solvibili.
A noi italiani, si vede, piace così. Il tratto disperante è infatti che i
paladini dell´antipolitica, i cosiddetti rinnovatori, ripetono alla
lettera lo schema del partito padronale berlusconiano. Antonio Di Pietro
per anni ha gestito i fondi dell´Idv attraverso una società a
conduzione familiare, affidata alla moglie e a un´amica di famiglia, e
non ha resistito alla tentazione di piazzare il figlio Cristiano nel
consiglio regionale del Molise. Beppe Grillo ha addirittura perfezionato
lo schema di Berlusconi. Se il Cavaliere ha trasformato l´azienda in
partito, Grillo ha fondato un partito e ci ha costruito sopra
un´impresa. Non ha neppure bisogno dei finanziamenti pubblici, perché i
militanti portano direttamente i soldi al capo, comprano tutto da lui,
dai gadget del movimento ai comizi sotto forma di video, libro o show
dal vivo. Non a tutti i grillini il sistema piace, ma i dissidenti
vengono espulsi al volo dal capo, senza neppure convocare una finta
riunione. Basta proibire l´uso del simbolo, che è registrato come
proprietà personale ed è tutelato da stormi di avvocati.
Si può obiettare che il personalismo e il liderismo sono fenomeni
mondiali, ma l´argomento è piuttosto debole. In nessun paese d´Europa i
partiti si sono trasformati in riserva personale di un papa re nominato a
vita, neppure in presenza di leader molto popolari e di grande levatura
intellettuale, protagonisti a volte di imprese storiche. Negli Stati
Uniti i partiti sono assai più leggeri nella struttura, in pratica
comitati elettorale, ma sono in ogni caso loro a selezionare il leader e
non viceversa.
Il risultato è che in Italia il capo ha sempre ragione, anche quando
cambia idee e alleati come vestiti. Ogni contraddizione politica e
personale, comportamento poco trasparente o intollerante e finanche
dispotico, viene giustificato dai fedeli in nome della missione
superiore di cui il signore è investito. I vizi privati e il conflitto
d´interessi di Berlusconi sono parsi sempre agli elettori del
centrodestra peccati veniali, rispetto al compito immane di salvare
l´Italia dal comunismo dei soviet (pericolo assai attuale) e le tasche
dei cittadini dalla pressione fiscale. Il familismo di Bossi era poca
cosa al cospetto della Padania libera e del federalismo magico.
Altrettanto vale, sull´altro fronte, per il familismo di Di Pietro. Non
importa poi molto ai seguaci della destra se con i governi Berlusconi la
pressione fiscale è cresciuta e il federalismo si è rivelato una
bufala. Nemmeno interessa agli antiberlusconiani dell´Idv se Di Pietro
ha contribuito a far vivere il governo dell´odiato tiranno un anno in
più, grazie ai suoi ex fidatissimi amici e collaboratori Scilipoti e
Razzi, e se a mandare a casa il Cavaliere nei fatti è stato l´uomo che
il loro leader aveva dipinto per anni come un collaborazionista di
regime, un pavido complice del berlusconismo, il presidente Napolitano.
I seguaci non si sentono mai traditi, anzi reagiscono con rabbia e
insulti a chi soltanto osa avanzare qualche dubbio sulle qualità del
capo. Da leader incompetenti e inetti, i seguaci non si aspettano che
risolvano davvero i problemi, ma soltanto che appaghino un bisogno
disperato di certezze e di semplificazione. In questo, va detto, sono
tutti bravissimi. La capacità si semplificare i problemi è la loro unica
autentica competenza.
Nessuno dei seguaci è sfiorato dall´idea che il fattore principale della
spaventosa corruzione della seconda repubblica risieda proprio nella
natura padronale dei nuovi partiti. Dalle grandi signorie nazionali a
quelle locali, come dimostra il disastro morale del ventennale sistema
di potere in Lombardia, pure riconducibile a un nome e cognome, Roberto
Formigoni. Così per combattere le vecchie signorie in declino se ne
creano di nuove, ancora più assolutiste. Ma se siamo arrivati a questo
punto, sarà colpa dei cattivi leader o dei cattivi seguaci? A un
loggionista che disturbava lo spettacolo con fischi e schiamazzi, il
grande Ettore Petrolini disse: «Non ce l´ho con te, ma con quello vicino
che non t´ha ancora buttato di sotto».
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