Ho letto quanto ha scritto il
Capogruppo consiliare Massimo Lari, che apprezzo per la voglia di parlare di
politica in questo momento, e penso che dopo i risultati delle elezioni un
interrogativo sorga a tutti. Tutti ci domandiamo i perché di una situazione che
brucia, non c’è dubbio, perché fino a pochi giorni prima del voto i sondaggi
davano il Pd anche al 36%, anzi gli exit pool di lunedì a urne appena chiuse
davano al centrosinistra una maggioranza chiara alla camera e al senato. Anzi,
dopo le primarie di novembre il Pd non faceva che crescere stando a tutte le
trasmissioni televisive. Poi invece i numeri veri sono stati altri e la
delusione è stata cocente: dopo mesi in cui aspettavamo il momento per dare al
Paese un governo all’altezza di questa crisi abbiamo di fronte una situazione
che brucia. Ma brucia soprattutto per l’occasione mancata per l’Italia, non
tanto per l’interesse di un partito.
Ma, a parte una riflessione sui
sondaggi come strumento forse non più efficace, adesso occorre riflettere sulle
ragioni sociali della disaffezione di quella parte del nostro elettorato che
alle elezioni ha deciso di non votarci. Una riflessione serena, senza usare
l’occasione per attaccare qualcuno, perché il risultato ottenuto è
responsabilità di tutti, o meglio, doveva essere responsabilità di tutti
lavorare per ottenere un risultato migliore. Non è soltanto di chi sosteneva
Bersani alle primarie la responsabilità del risultato elettorale. Ci sono stati
degli errori di merito, di metodo e di comunicazione che devono essere
riconosciuti, ed è bene farlo, ma sarebbe semplicistico ridurre tutto a un
regolamento di conti interno. In gioco, in sostanza, c’è l’esistenza stessa del
Pd, l'andare avanti con questo partito o tornare indietro a scenari diversi.
Non bisogna perdere di vista le cause di questo risultato, diciamo pure,
deludente, perché se ci attardiamo troppo a una diatriba interna cercando un
‘colpevole’ non si costruisce il percorso che c’è da fare da ora in avanti,
sempre che questo lo si voglia fare.
Certo, c’è chi alcune
insofferenze e alcuni temi li aveva lanciati con più forza nei mesi passati, ed
è anche vero che molti pensando di avere la vittoria in tasca si sono seduti
sugli allori, ma è facile col senno di poi fare l’elenco dei passi falsi fatti,
degli errori che non dovevamo fare, dire che se il Pd si fosse presentato con
un programma e candidati differenti forse avremmo vinto. È facile e
semplicistico dire adesso a risultati in mano che se avessimo fatto in un altro
modo, se questo, se quello, se ci fosse stato Renzi ecc ecc. Certo, guardare
indietro e capire se ci sono stati errori serve per non farne in futuro, ma è
legittimo allora, permettetemi, dire, allo stesso modo, che se nel novembre
2011, un anno prima delle primarie Renzi-Bersani, dopo la caduta del Governo
Berlusconi, con tutti i disastri che aveva prodotto e con la credibilità al
minimo immaginabile, il Presidente Napolitano avesse indetto le elezioni anziché voler formare un governo tecnico il centrosinistra avrebbe agevolmente
vinto le elezioni con Bersani premier. Le avrebbe vinte, punto. È innegabile
che il Pdl non avrebbe retto alle divisioni interne e ai pochi risultati
raggiunti dopo anni di governo. E il fenomeno di protesta verso quel sistema
avrebbe riposto nel Pd la speranza del cambiamento possibile. Ma questo non è
accaduto, e non è colpa del Pd, le Camere le può sciogliere solo il Presidente
della Repubblica. La differenza tra il novembre 2011 e il febbraio 2013 è che
nel mezzo c’è stato un Governo che anche il Pd ha sostenuto ma che non è stato
all’altezza delle aspettative, di nessuno, né per competenza né per la visione
che doveva avere. Il Pd ha sostenuto un governo che non ha saputo essere equo e
non ha saputo dare le risposte al paese, quelle che servivano e che rispondessero
appieno alle domande aperte dal momento di crisi per tutti. Il Pd ha sostenuto
un governo di emergenza cercando di correggere molti provvedimenti e alla fine
il risultato è stato che Berlusconi ha scaricato tutte le responsabilità su di
noi come se il Pdl fosse stato all’opposizione per 5 anni. Anche questo
certamente ha influito sul gran numero di persone che ha voluto dare un segnale
di insofferenza e di domande rimaste senza risposta.
L’analisi del voto a posteriori
certamente si deve fare e si deve capire quali sono stati gli sbagli, di
merito, di metodo e di comunicazione, ma non si può partire con i regolamenti
di conti o le rivalse nel partito. Dire a chi alle primarie ha sostenuto
Bersani “io l’avevo detto” mi pare non colga il punto. Tanto meno mi piace la
definizione “ragazzotti”, visto che mi ricorda troppo quella di “scagnozzi” e
altri termini usati nella campagna per
le primarie.
Siamo franchi troppo spesso
abbiamo memoria corta su tutto: Bersani ha fatto scegliere con le primarie chi
doveva guidare la coalizione e non era neanche scontato che lo facesse, e
questo bisognerebbe riconoscerglielo. Un evento di grande risalto mediatico a
cui hanno partecipato milioni di persone, che hanno fatto liberamente la loro
scelta. Tornare sugli aspetti regolamentari adesso, parlare di sotterfugi e di
gente che dava del ‘deficiente’ ad altri, mi pare francamente fuori luogo. Chi
ha votato Bersani alle primarie non può essere colpevolizzato con dei poco
costruttivi "io l'avevo detto", anche perché magari molti sostenitori
di altri candidati avevano, in quel contesto nazionale, rivalse personali
localistiche da esercitare che ci portiamo dietro fin dalla nascita di questo
Pd.
A questo punto il Partito
Democratico è a un bivio. Dobbiamo fare autocritica su quella che è una
sconfitta. Il punto è che la proposta del Pd al Paese non ha convinto, non ha
scaldato i cuori, come direbbe Matteo Renzi, e questo dobbiamo capire perché. Siamo stati percepiti forse troppo distanti, c'era voglia di cambiamento, a
torto o a ragione, e questo vento – che 'non si poteva fermare con le mani' –
ha sferzato in modo inequivocabile su tutti noi ponendoci la domanda di che Pd
vogliamo essere.
Sono d'accordo con il capogruppo Lari quando sottolinea che il
Pd 'socialdemocratico', differente dalle sue origini, che abbiamo proposto oggi
agli elettori non li ha convinti, dobbiamo quindi tornare ad essere un partito riformista e inclusivo. E
l'amalgama mal riuscita delle storie e tradizioni fondanti del Partito
Democratico sta dando i suoi frutti in negativo. E rispetto a quello che dice Lari
sul dover adesso rimettere insieme la parte buona del partito vorrei capire
però chi è che decide chi sia la parte sana e quella no. È questa la domanda
che mi faccio, e non da ora, e che non
mi fa essere sereno.
Gianni Taccetti
segreteria comunale PD Lastra
membro dell’Assemblea nazionale
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