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lunedì, marzo 11, 2013

Il contributo alla discussione di Gianni Taccetti


Ho letto quanto ha scritto il Capogruppo consiliare Massimo Lari, che apprezzo per la voglia di parlare di politica in questo momento, e penso che dopo i risultati delle elezioni un interrogativo sorga a tutti. Tutti ci domandiamo i perché di una situazione che brucia, non c’è dubbio, perché fino a pochi giorni prima del voto i sondaggi davano il Pd anche al 36%, anzi gli exit pool di lunedì a urne appena chiuse davano al centrosinistra una maggioranza chiara alla camera e al senato. Anzi, dopo le primarie di novembre il Pd non faceva che crescere stando a tutte le trasmissioni televisive. Poi invece i numeri veri sono stati altri e la delusione è stata cocente: dopo mesi in cui aspettavamo il momento per dare al Paese un governo all’altezza di questa crisi abbiamo di fronte una situazione che brucia. Ma brucia soprattutto per l’occasione mancata per l’Italia, non tanto per l’interesse di un partito.
Ma, a parte una riflessione sui sondaggi come strumento forse non più efficace, adesso occorre riflettere sulle ragioni sociali della disaffezione di quella parte del nostro elettorato che alle elezioni ha deciso di non votarci. Una riflessione serena, senza usare l’occasione per attaccare qualcuno, perché il risultato ottenuto è responsabilità di tutti, o meglio, doveva essere responsabilità di tutti lavorare per ottenere un risultato migliore. Non è soltanto di chi sosteneva Bersani alle primarie la responsabilità del risultato elettorale. Ci sono stati degli errori di merito, di metodo e di comunicazione che devono essere riconosciuti, ed è bene farlo, ma sarebbe semplicistico ridurre tutto a un regolamento di conti interno. In gioco, in sostanza, c’è l’esistenza stessa del Pd, l'andare avanti con questo partito o tornare indietro a scenari diversi. Non bisogna perdere di vista le cause di questo risultato, diciamo pure, deludente, perché se ci attardiamo troppo a una diatriba interna cercando un ‘colpevole’ non si costruisce il percorso che c’è da fare da ora in avanti, sempre che questo lo si voglia fare.
Certo, c’è chi alcune insofferenze e alcuni temi li aveva lanciati con più forza nei mesi passati, ed è anche vero che molti pensando di avere la vittoria in tasca si sono seduti sugli allori, ma è facile col senno di poi fare l’elenco dei passi falsi fatti, degli errori che non dovevamo fare, dire che se il Pd si fosse presentato con un programma e candidati differenti forse avremmo vinto. È facile e semplicistico dire adesso a risultati in mano che se avessimo fatto in un altro modo, se questo, se quello, se ci fosse stato Renzi ecc ecc. Certo, guardare indietro e capire se ci sono stati errori serve per non farne in futuro, ma è legittimo allora, permettetemi, dire, allo stesso modo, che se nel novembre 2011, un anno prima delle primarie Renzi-Bersani, dopo la caduta del Governo Berlusconi, con tutti i disastri che aveva prodotto e con la credibilità al minimo immaginabile, il Presidente Napolitano avesse indetto le elezioni anziché voler formare un governo tecnico il centrosinistra avrebbe agevolmente vinto le elezioni con Bersani premier. Le avrebbe vinte, punto. È innegabile che il Pdl non avrebbe retto alle divisioni interne e ai pochi risultati raggiunti dopo anni di governo. E il fenomeno di protesta verso quel sistema avrebbe riposto nel Pd la speranza del cambiamento possibile. Ma questo non è accaduto, e non è colpa del Pd, le Camere le può sciogliere solo il Presidente della Repubblica. La differenza tra il novembre 2011 e il febbraio 2013 è che nel mezzo c’è stato un Governo che anche il Pd ha sostenuto ma che non è stato all’altezza delle aspettative, di nessuno, né per competenza né per la visione che doveva avere. Il Pd ha sostenuto un governo che non ha saputo essere equo e non ha saputo dare le risposte al paese, quelle che servivano e che rispondessero appieno alle domande aperte dal momento di crisi per tutti. Il Pd ha sostenuto un governo di emergenza cercando di correggere molti provvedimenti e alla fine il risultato è stato che Berlusconi ha scaricato tutte le responsabilità su di noi come se il Pdl fosse stato all’opposizione per 5 anni. Anche questo certamente ha influito sul gran numero di persone che ha voluto dare un segnale di insofferenza e di domande rimaste senza risposta.
L’analisi del voto a posteriori certamente si deve fare e si deve capire quali sono stati gli sbagli, di merito, di metodo e di comunicazione, ma non si può partire con i regolamenti di conti o le rivalse nel partito. Dire a chi alle primarie ha sostenuto Bersani “io l’avevo detto” mi pare non colga il punto. Tanto meno mi piace la definizione “ragazzotti”, visto che mi ricorda troppo quella di “scagnozzi” e altri termini usati nella campagna  per le primarie.

Siamo franchi troppo spesso abbiamo memoria corta su tutto: Bersani ha fatto scegliere con le primarie chi doveva guidare la coalizione e non era neanche scontato che lo facesse, e questo bisognerebbe riconoscerglielo. Un evento di grande risalto mediatico a cui hanno partecipato milioni di persone, che hanno fatto liberamente la loro scelta. Tornare sugli aspetti regolamentari adesso, parlare di sotterfugi e di gente che dava del ‘deficiente’ ad altri, mi pare francamente fuori luogo. Chi ha votato Bersani alle primarie non può essere colpevolizzato con dei poco costruttivi "io l'avevo detto", anche perché magari molti sostenitori di altri candidati avevano, in quel contesto nazionale, rivalse personali localistiche da esercitare che ci portiamo dietro fin dalla nascita di questo Pd.
A questo punto il Partito Democratico è a un bivio. Dobbiamo fare autocritica su quella che è una sconfitta. Il punto è che la proposta del Pd al Paese non ha convinto, non ha scaldato i cuori, come direbbe Matteo Renzi, e questo dobbiamo capire perché. Siamo stati percepiti forse troppo distanti, c'era voglia di cambiamento, a torto o a ragione, e questo vento – che 'non si poteva fermare con le mani' – ha sferzato in modo inequivocabile su tutti noi ponendoci la domanda di che Pd vogliamo essere. 
Sono d'accordo con il capogruppo Lari quando sottolinea che il Pd 'socialdemocratico', differente dalle sue origini, che abbiamo proposto oggi agli elettori non li ha convinti, dobbiamo quindi tornare ad essere  un partito riformista e inclusivo. E l'amalgama mal riuscita delle storie e tradizioni fondanti del Partito Democratico sta dando i suoi frutti in negativo. E rispetto a quello che dice Lari sul dover adesso rimettere insieme la parte buona del partito vorrei capire però chi è che decide chi sia la parte sana e quella no. È questa la domanda che mi faccio, e non da ora, e che non  mi fa essere sereno.


Gianni Taccetti
segreteria comunale PD Lastra
membro dell’Assemblea nazionale 

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