Il superamento del bicameralismo perfetto, ovvero del
meccanismo per il quale una norma deve uscire nella stessa identica forma dalla
doppia approvazione di Camera dei Deputati e Senato (altrimenti continuando a
“rimbalzare” tra i due rami del Parlamento) merita di essere superato sin
dall’entrata in vigore - nel lontano 1948 - della Costituzione della Repubblica
italiana.
Il procedimento disegnato dall’art. 45 della Costituzione, infatti, era ben
lontano dalla perfezione già nella mente dei costituenti i quali vi ricorsero
solo per l’impossibilità politica di assegnare, allora, ad una delle due camere
quella di rappresentanza delle autonomie locali.
La riforma costituzionale su cui noi cittadini siamo quindi chiamati ad esprimerci col prossimo referendum ha quindi merito di sviluppare tale nodo irrisolto dai costituenti, mantenendo il Senato come luogo di rappresentanza delle autonomie locali.
In termini economici ciò non significa soltanto risparmiare sulle indennità dei membri che ne faranno parte, i quali agiranno in rappresentanza di Regioni e Città e senza indennità aggiuntive, ma assicurerà altresì quel coordinamento tra le amministrazioni decentrate che permetterà di meglio pianificare opere ed investimenti strategici.
Il Senato, anche nella sua nuova veste, continuerà ad indicare alcuni Giudici della Corte Costituzionale e ad eleggere il Presidente della Repubblica in seduta comune con la Camera dei Deputati ma non voterà più la fiducia al Governo la cui durata in carica sarà quindi rimessa solo al voto della Camera dei Deputati.
Ciò favorirà la governabilità del Paese, evitando che i Governi cadano ostaggio (e vittime) del voto (di fiducia) da parte di maggioranze “ballerine" di una delle due Camere e di Parlamentari che, con troppa facilità, hanno cambiato più casacche nel corso della stessa legislatura. Un legge elettorale in grado di assicurare una maggioranza netta all’esito del voto ed un Governo pur sempre legato al voto di fiducia (e di sfiducia) della Camera elettiva assicurerà, senza far venire meno alcuno degli ulteriori “contrappesi" previsti dal nostro ordinamento (Presidente della Repubblica e Corte Costituzionale su tutti) di misurare al meglio l’efficacia dell’azione dell’Esecutivo senza assistere al consueto rimpallo di responsabilità tra forze politiche oppure al ritornello del “bastava farlo lavorare”.
Significa, in altri termini, consegnare agli elettori il miglior metodo di verifica del proprio eletto in Parlamento e del Governo in carica.
In tal senso, peraltro, debbono essere lette le ulteriori disposizioni di riforma della Carta Costituzionale tra cui, solo per citarne alcune, quella sull’iniziativa di voto popolare, della quale - per la prima volta - si assicura l’effettivo svolgimento, ed i diversi iter di approvazione delle leggi, con il coinvolgimento eventuale o necessario del nuovo Senato, ma pur sempre orientate a rispettare tempi rapidi che, sempre nella logica del permettere di valutarne e misurarne l’azione, diano al Governo la possibilità di richiedere al Parlamento la pronta approvazione di norme ritenute importanti per la vita e la competitività del Paese.
Su questo punto, visti i continui tentativi di confondere le idee, è bene essere ben chiari: al Governo continua a competere la funzione esecutiva ed al Parlamento quella legislativa. Chiedere al Parlamento l’esame di alcuni disegni di legge governativi entro un tempo ragionevole (70 giorni) non mi pare possa farsi passare come usurpazione del potere legislativo alle Camere, cui compete e continuerà a competere. Chi alimenta certi infondati timori dovrebbe piuttosto spiegare a cosa è dovuto da decenni a questa parte il necessario abuso da parte di tutti Governi che si sono succeduti allo strumento della decretazione d’urgenza, con continui (ed inascoltati) richiami da parte della Corte Costituzionale.
Ma un’ultima nota credo convinca della bontà di questa riforma e convinca, al tempo stesso, sulla fragilità dei suoi detrattori. La Costituzione della Repubblica Italiana è una delle più belle del mondo e lo è soprattutto nella Parte Prima, gli articoli dall'1 al 54. I Costituenti sono riusciti ad esprimere al meglio la lezione amaramente appresa dal secondo conflitto mondiale ed a fissare principi immortali cui ispirare la vita del Paese. Ebbene, questa parte della Carta rimane assolutamente immutata.
La riforma, infatti, interessa la seconda parte della Costituzione, già modificata da una passata modifica datata 2001, che, pur di sinistra, ha più che altro creato conflitti tra lo Stato e le Regioni, con conseguente superlavoro della Corte Costituzionale, con ciò fallendo le premesse della riforma stessa.
A distanza di 15 anni e dopo numerosi tentativi già falliti in Parlamento, a testimoniare che la necessità di una riforma era ed è sentita come necessaria anche da chi oggi afferma il contrario, questa Legislatura e questo Governo sono riusciti nell’incredibile impresa, dopo 6 distinte approvazioni a larga maggioranza in entrambe le Camere, a farla arrivare al definitivo vaglio del cittadino elettore.
L’iter legislativo si è svolto nel pieno rispetto dell’art. 138 della Costituzione ed il Parlamento ha agito nel pieno delle proprie funzioni e della propria legittimazione, come confermato dalla stessa Corte Costituzionale.
Votare sì è il modo per dare al Paese un futuro migliore e dargli l’opportunità di assicurare davvero, legiferando e governando, il raggiungimento dei principi fondanti la nostra Costituzione.
Lorenzo Marchionni
Coordinatore
e portavoce dei Comitati per il Sì di Lastra a Signa
La riforma costituzionale su cui noi cittadini siamo quindi chiamati ad esprimerci col prossimo referendum ha quindi merito di sviluppare tale nodo irrisolto dai costituenti, mantenendo il Senato come luogo di rappresentanza delle autonomie locali.
In termini economici ciò non significa soltanto risparmiare sulle indennità dei membri che ne faranno parte, i quali agiranno in rappresentanza di Regioni e Città e senza indennità aggiuntive, ma assicurerà altresì quel coordinamento tra le amministrazioni decentrate che permetterà di meglio pianificare opere ed investimenti strategici.
Il Senato, anche nella sua nuova veste, continuerà ad indicare alcuni Giudici della Corte Costituzionale e ad eleggere il Presidente della Repubblica in seduta comune con la Camera dei Deputati ma non voterà più la fiducia al Governo la cui durata in carica sarà quindi rimessa solo al voto della Camera dei Deputati.
Ciò favorirà la governabilità del Paese, evitando che i Governi cadano ostaggio (e vittime) del voto (di fiducia) da parte di maggioranze “ballerine" di una delle due Camere e di Parlamentari che, con troppa facilità, hanno cambiato più casacche nel corso della stessa legislatura. Un legge elettorale in grado di assicurare una maggioranza netta all’esito del voto ed un Governo pur sempre legato al voto di fiducia (e di sfiducia) della Camera elettiva assicurerà, senza far venire meno alcuno degli ulteriori “contrappesi" previsti dal nostro ordinamento (Presidente della Repubblica e Corte Costituzionale su tutti) di misurare al meglio l’efficacia dell’azione dell’Esecutivo senza assistere al consueto rimpallo di responsabilità tra forze politiche oppure al ritornello del “bastava farlo lavorare”.
Significa, in altri termini, consegnare agli elettori il miglior metodo di verifica del proprio eletto in Parlamento e del Governo in carica.
In tal senso, peraltro, debbono essere lette le ulteriori disposizioni di riforma della Carta Costituzionale tra cui, solo per citarne alcune, quella sull’iniziativa di voto popolare, della quale - per la prima volta - si assicura l’effettivo svolgimento, ed i diversi iter di approvazione delle leggi, con il coinvolgimento eventuale o necessario del nuovo Senato, ma pur sempre orientate a rispettare tempi rapidi che, sempre nella logica del permettere di valutarne e misurarne l’azione, diano al Governo la possibilità di richiedere al Parlamento la pronta approvazione di norme ritenute importanti per la vita e la competitività del Paese.
Su questo punto, visti i continui tentativi di confondere le idee, è bene essere ben chiari: al Governo continua a competere la funzione esecutiva ed al Parlamento quella legislativa. Chiedere al Parlamento l’esame di alcuni disegni di legge governativi entro un tempo ragionevole (70 giorni) non mi pare possa farsi passare come usurpazione del potere legislativo alle Camere, cui compete e continuerà a competere. Chi alimenta certi infondati timori dovrebbe piuttosto spiegare a cosa è dovuto da decenni a questa parte il necessario abuso da parte di tutti Governi che si sono succeduti allo strumento della decretazione d’urgenza, con continui (ed inascoltati) richiami da parte della Corte Costituzionale.
Ma un’ultima nota credo convinca della bontà di questa riforma e convinca, al tempo stesso, sulla fragilità dei suoi detrattori. La Costituzione della Repubblica Italiana è una delle più belle del mondo e lo è soprattutto nella Parte Prima, gli articoli dall'1 al 54. I Costituenti sono riusciti ad esprimere al meglio la lezione amaramente appresa dal secondo conflitto mondiale ed a fissare principi immortali cui ispirare la vita del Paese. Ebbene, questa parte della Carta rimane assolutamente immutata.
La riforma, infatti, interessa la seconda parte della Costituzione, già modificata da una passata modifica datata 2001, che, pur di sinistra, ha più che altro creato conflitti tra lo Stato e le Regioni, con conseguente superlavoro della Corte Costituzionale, con ciò fallendo le premesse della riforma stessa.
A distanza di 15 anni e dopo numerosi tentativi già falliti in Parlamento, a testimoniare che la necessità di una riforma era ed è sentita come necessaria anche da chi oggi afferma il contrario, questa Legislatura e questo Governo sono riusciti nell’incredibile impresa, dopo 6 distinte approvazioni a larga maggioranza in entrambe le Camere, a farla arrivare al definitivo vaglio del cittadino elettore.
L’iter legislativo si è svolto nel pieno rispetto dell’art. 138 della Costituzione ed il Parlamento ha agito nel pieno delle proprie funzioni e della propria legittimazione, come confermato dalla stessa Corte Costituzionale.
Votare sì è il modo per dare al Paese un futuro migliore e dargli l’opportunità di assicurare davvero, legiferando e governando, il raggiungimento dei principi fondanti la nostra Costituzione.
Lorenzo Marchionni
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